Siamo in un periodo di profonda crisi. Lo sentiamo ripetere ogni giorno. Le nuove generazioni non sanno come fare fronte a questo momento di emergenza. Manca il lavoro, non si sa come arrivare a fine mese eppure c’è chi è stato peggio di noi, basterebbe guardare indietro e prendere esempio. E’stato intervistato un campione di dieci persone che hanno vissuto la loro gioventù nel dopoguerra, qui nella nostra città: dalle loro testimonianze è emersa una saggezza antica, fatta di una cultura acquisita non certamente dai libri di scuola, ma dall’esperienza di una vita conquistata giorno per giorno con una forza di volontà che oggi a noi è praticamente sconosciuta.
Si è così appreso di antichi mestieri, oggi scomparsi, ma compiuti con tutta la dignità che nasce dalla consapevolezza che qualsiasi cosa è utile pur di “sfamare” la propria famiglia.
C’era per esempio l’arrotino, l’artigiano che si occupava della molatura delle lame che risultavano non più taglienti; in passato infatti pur di non buttare qualunque attrezzo mal funzionante si ricorreva alla riparazione. Anna, una vecchietta minuta, che oggi è costretta in carrozzina, chiude gli occhi e dice: “ Mi sembra di sentire ancora la sua voce che dalla strada ci avvertiva che era arrivato l’arrotino e invitava tutte le donne di casa ad affilare i loro coltelli”.
Importante era anche la mondina, ossia una lavoratrice stagionale delle risaie. Il lavoro si svolgeva durante il periodo di allagamento dei campi, effettuato dalla fine di aprile agli inizi di giugno per proteggere le delicate piantine del riso dallo sbalzo termico tra il giorno e la notte, durante le prime fasi del loro sviluppo. Il lavoro consisteva nel trapianto in risaia delle piantine e nella monda. E qui nonna Mariuccia si estranea per ritornare a quei tempi: “Ah, certamente la fatica era tanta, ma noi eravamo giovani e la sera, quando lontane da casa e dagli occhi vigili di nostro padre, ci preparavamo per andare a ballare, non sentivamo nemmeno più la stanchezza… Quelli sì che erano bei tempi!”
Una figura famigliare era il lattaio: ai tempi dei nostri nonni i lattai ambulanti arrivavano fin dalle prime ore del mattino con un carretto sul quale era sistemato un grosso tino di alluminio pieno di latte fresco che vendevano per le strade dopo aver attirato l’attenzione urlando; all’epoca dei nostri genitori, invece, il lattaio di Castel San Giovanni portava il latte, alle famiglie che lo avevano ordinato, direttamente a casa ogni mattina e con la sua inseparabile “apecar” e lo lasciava sul cancello. Al risveglio ognuno trovava il latte ad aspettarlo. Certo quelli erano altri tempi! Tempi di tanta povertà ma in cui regnavano l’onestà e il rispetto per gli altri. Chissà se oggi troveremmo ancora intatte le bottiglie di latte fuori dalla nostra porta…!
Inoltre c’erano anche le lavandaie, le donne che lavavano i panni nell’acqua del fiume o ai lavatoi pubblici, facendo la liscivia, un detersivo naturale ottenuto dalla bollitura della cenere.
Infine il lavoro più duro, lo spazzacamino: era dedicato prettamente ai bambini reclutati dalle famiglie oppure mendicanti o orfani. La caratteristica che questi ragazzi dovevano possedere era l’essere molto magri al fine di entrare agevolmente nella canna fumaria e pulirla. Luigi, novantenne arzillo, ci parla di suo padre Giacomo, per tutti Giacomino, perché tutto il paese, nonostante la notevole stazza, lo ricordava bambino quando, sempre nero di fuliggine, andava in ogni casa a pulire i camini e ne riceveva, a volte, oltre alla misera paga, anche una ciambella o un biscotto appena sfornati.
Potremmo elencare tanti altri mestieri, altrettanto pesanti ma ugualmente dignitosi: il carbonaio, il gelataio con il suo tipico carretto, il materassaio, il calderaio, il banditore; ognuno di essi era importante e indispensabile per l’epoca.
A sentire raccontare queste storie sembra di immergerci nel passato: gli anziani sono i depositari della storia che si tramanda di generazione in generazione. E quanta saggezza nei loro proverbi che abbiamo imparato a forza di sentirceli ripetere; da qui emerge una cultura spicciola ma non per questo meno profonda. Proverbi che possono contenere metafore e similitudini, norme giudizi e consigli. Sono fonti di immenso valore che fanno parte della nostra tradizione culturale, che non possiamo e non dobbiamo perdere. Ci sembra di vedere le vecchiette che sedute sull’uscio ricamano, parlano con le vicine e commentano i fatti del giorno con queste massime. Le donne, che sembravano vivere in disparte ma che nei fatti erano il fulcro della famiglia: infatti svolgevano i lavori domestici e accudivano i figli; però mentre la donna poteva sostituire la manodopera dell’uomo o collaborava con lui nei lavori dei campi, un uomo non poteva mai prendere il posto di sua moglie o di sua figlia. Purtroppo la figura femminile è stata sempre messa in ombra da quella maschile e le veniva attribuita minore importanza, anche se forse possedeva il ruolo predominante nella famiglia…
Oggi potremmo forse riscoprire qualcosa di quest’epoca passata, cercare forse di fare rivivere qualcuno di questi antichi mestieri… Le nuove tecnologie nonché i nostri costumi hanno reso impossibile il ritorno alla maggior parte di essi. Sarebbe impensabile immaginare, ad esempio, un banditore che, in mezzo alla nostra piazza, annuncia le ultime novità; i nostri moderni mezzi di comunicazione hanno fatto sì che un fatto del genere sarebbe ridicolo! Però forse non è assurdo provare a credere che qualche mestiere potrebbe essere riscoperto: forse una ricamatrice oggi, in mezzo a tanti lavori fatti industrialmente in serie, potrebbe essere molto apprezzata, così come una brava rammendatrice (perché dover buttare un bel vestito per un piccolo strappo solo perché nessuno è più capace di ripararlo?). Per noi questo sarebbe anche un buon metodo per risparmiare: come dicono le nonne “Chi è abituato ad accontentarsi di poco non farà mai fatica, anche nei periodi di miseria”.
Certo nessuno ha la “ricetta” per riuscire a risolvere il periodo di crisi che stiamo attraversando, però provare ad essere un po’ più umili, adattarci a fare lavori considerati al di sotto del livello per cui si è studiato e per cui ci si è preparati con tanta fatica e per tanti anni, potrebbe portare molte persone ad avere una seppur minima fonte di reddito. Provare a considerare la cultura acquisita prima di tutto come un arricchimento personale e non come un “diritto” ad occupare posizioni di “prestigio” forse sarebbe una buona cosa da insegnare ai bambini sui banchi dei primi anni di scuola. Il diritto all’istruzione è garantito dalla nostra Costituzione ma non deve trasformarsi in un alibi per chi aspetta il lavoro giusto che non arriverà mai!
di Alessandro Cirella