A Terezín, per seguire l’eco delle Farfalle

Un gruppo di studenti della scuola secondaria “G. Mazzini” a Terezín per un viaggio della Memoria

di Elisa Panelli ed Elena Antoniotti

6/5/2019

Finalmente ci siamo, siamo a Terezín , nella campagna boema a 60 chilometri da Praga e la cittadella fortificata ci accoglie con le punte affilate dei suoi bastioni, utili a tenere fuori o a chiudere dentro. Dopo tanti studi, ricerche, letture, rielaborazioni siamo arrivati.

In questa stagione Terezín profuma di ippocastani in fiore; chissà se qualcuna di queste piante maestose avrà assistito al dramma del ghetto, custode muta di storie come l’ippocastano amico di Anne Frank! Terezín, in questa stagione, è immersa in una campagna gialla di fioriture gialle come le stelle che stiamo cercando di avvicinare. Qui la nostra missione è camminare nelle stesse strade, osservare gli stessi edifici, dormire sotto lo stesso tetto degli ebrei reclusi di settant’anni fa; vogliamo avvicinarci alla storia in punta di piedi, immaginare Petr Ginz che cammina nel cortile, la mente persa nelle sue storie avventurose, ascoltare la musica fioca dell’infermiera Ilse Weber che canta ninne nanne ai bambini malati, l’eco degli ordini e degli spari, le note di un pianoforte clandestino che nessuna catena può imprigionare.

Per aprire la porta di Terezín abbiamo usato una chiave, il libro “La Repubblica delle Farfalle” ed una guida, Matteo Corradini che ci ha introdotto con discrezione e rispetto nel campo, verso le ombre della storia e verso la vita delle persone che qui sono passate.

La piazza principale di Terezín

La cittadina non è proprio come ce l’eravamo immaginati: qui a Terezín tutto è normale e poche cose ci rimandano alle tragedie che sono avvenute tra queste mura. Forse è proprio questa la cosa più inquietante, il fatto che dobbiamo sovrapporre ciò che è successo alle immagini di un paese dove ora tutti vivono tranquillamente.

Appena arrivati ci siamo sistemati nelle nostre stanza nella foresteria del paese e successivamente ci siamo recati alla sinagoga per partecipare alla celebrazione di Yom Ha-Shoah, in ricordo delle vittime. Nel cortile della piccola sinagoga abbiamo incontrato e intervistato due importanti esperti professori universitari del Regno Unito che dedicano i loro studi alla musica e al teatro nei campi di concentramento e di sterminio: David Fligg e Lisa Peschel.

Nel cortile della sinagoga di Terezín

Abbiamo potuto riflettere sul fatto per noi apparentemente inconciliabile del rappresentare opere divertenti in un campo di concentramento; all’epoca era comprensibile per il fatto che le persone ricercavano qualcosa per evadere dalla quotidianità squallida del campo. Lo stesso discorso vale per la fede: la piccola sinagoga clandestina del ghetto sta a dimostrare la ricerca di restare ancorati alla speranza.

La piccola sinagoga

Camminare per le strade di Terezín è semplice: il reticolo delle strade è ortogonale, grandi edifici una volta caserme si susseguono con regolarità e precisione. L’ordine dell’esercito è matematico, come organizzato e pianificato è stato lo sterminio ad opera dei nazisti. La tappa successiva, infatti, la raggiungiamo camminando sui binari sui quali un tempo passavano i treni per Auschwitz. E’ stato un momento molto forte e toccante, soprattutto pensando che quelli per tanto tempo sono stati i ”binari della morte”.

Il passaggio sui binari

Dai binari alle “Colombaie”, dove troviamo lapidi e monumenti alla Memoria: ogni mattone del paese è un invito a ricordare. Qui, in particolare, osserviamo i contenitori di cartone che i nazisti usavano per riporre le ceneri in uscita dai forni crematori.

Le “Colombaie”

La tappa successiva è il cimitero ebraico dove ognuno di noi ha posto su di una tomba a piacere il proprio sasso, portato appositamente dai nostri paesi in Italia. Questo è stato uno dei momenti più emozionanti e commoventi, perché in qualche modo a Terezín è rimasto qualcosa di noi che non appassirà e non si distruggerà; allo stesso modo abbiamo prelevato un sasso dai binari del treno, perché noi e Terezín rimanessimo per sempre legati.

Il cimitero ebraico

Successivamente, la visita ai locali che ospitano i forni crematori del campo. In questa zona, resa sacra dalle iscrizioni bibliche che la precedono, solo silenzio e tristezza.

Il locale dei forni crematori

Al termine della giornata, la caserma Magdeburgo, altro luogo di detenzione. Quest’ultima attualmente è un museo e raccoglie gran parte degli oggetti raccolti a Terezín: disegni, quadri, spartiti musicali, testi e ricostruzioni della vita nel campo.

E’ ora di cena: ci fermiamo a mangiare piatti locali nella mensa della caserma stessa. Cala il sole, arriva il tramonto. Su Terezín scende il silenzio.

La piazza di Terezín

Le uniche voci sono le nostre: organizziamo una partita a pallone proprio nella piazza centrale, quella che agli ebrei era vietato attraversare.

Una partita nella piazza centrale del paese

Non abbiamo fretta, non dobbiamo prendere un autobus, passeremo la notte a Terezín, nella foresteria, a due passi dalla piazza. Quando rientriamo, decidiamo di passare la serata insieme, in una sala riservata a noi, giochiamo, ci conosciamo meglio; insieme è la parola chiave per allontanare l’inquietudine che la visita ha fatto nascere in noi.

Il giorno seguente, dopo la colazione, ci rechiamo a piedi alla “Piccola Fortezza”, esempio magistrale di architettura militare settecentesca, trasformata prima in carcere speciale e poi in campo di concentramento. Qui vivevano sia gli ebrei che i prigionieri che i capi dei nazisti. Ci accoglie la scritta ”Arbeit Macht Frei” sopra l’ingresso ed è un susseguirsi di celle, camerate, luoghi per le esecuzioni posizionati a fianco del cinema e della piscina per lo svago delle SS.

L’ingresso al campo della Piccola Fortezza

Dal campo siamo usciti tutti  colpiti e sgomenti, dopo aver visto e toccato con mano il luogo in cui sono morte migliaia di uomini, donne e bambini.

Una zona della Piccola Fortezza

Per concludere la nostra esperienza ci siamo recati in visita al museo che raccoglie le testimonianze e la Memoria dei bambini e dei ragazzi di Terezín. In questo edificio è presente una stanza in cui, su ogni parete, sono incisi i nomi dei ragazzi morti o passati a Terezín e Matteo Corradini ci ha chiesto di collocare in ordine alfabetico il nostro nome su di una parete e di adottare i nomi accanto al nostro, serbandoli nel ricordo. E’ stato molto emozionante e angosciante perché ci siamo accorti che alcuni bambini erano davvero piccolissimi al momento della loro morte. Dei 150.000 ragazzi passati a Terezín, al termine della guerra, neanche 150 erano sopravvissuti.

Alcuni dei nomi dei ragazzi di Terezín

Nella mostra allestita in questo edificio, abbiamo ritrovato il disegno della farfalla che ha guidato le nostre riflessioni e rielaborazioni sulla Shoah. Ci aveva colpito soprattutto l’immagine contenuta in una poesia di un bambino che scriveva che le farfalle non volano nel ghetto, a simboleggiare la disperazione e la solitudine.

Disegno di un bambino di Terezín : la farfalla gialla

In una stanza dello stabile, inoltre, si trovavano clandestinamente i ragazzi di “Vedem”, il giornale che veniva scritto come forma di resistenza all’orrore del campo, a rischio della vita. Erano guidati da un quattordicenne di Praga, Petr Ginz, coraggioso e creativo, che scomparve ad Auschwitz.

Le finestre della stanza dove si trovava la redazione di “Vedem”, il giornale clandestino dei ragazzi di Terezín

Per concludere, a tutti noi è risultato molto chiaro che studiare storia sopra ad un libro è molto diverso dal viverla e toccarla con mano. Ci resteranno di Terezín il silenzio, qualche brivido, molte emozioni, gli occhi lucidi, i fiori di ippocastano, un sasso in tasca, finestre chiuse, stelle gialle, un tramonto.

Il cortile dei bambini

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