di Sofia Maiocchi, Francesca Signorino Gelo, Emma Tosca
31/1/2022
Nelle classi terze della scuola secondaria “G. Mazzini”, abbiamo partecipato ad un progetto basato sul libro “Luci nella Shoah” di Matteo Corradini, un esperto con il quale stiamo lavorando. Ci siamo divisi in gruppi e ognuno di noi ha lavorato per conoscere e approfondire un personaggio che aveva subito le persecuzioni razziali all’epoca della Shoah, presentato nel libro di Corradini. Il nostro gruppo, composto da Francesca Signorino Gelo, Emma Tosca e Sofia Maiocchi ha scelto di conoscere meglio Arie Selinger (Cracovia 1937), soprattutto per la passione che Francesca e Sofia hanno riguardo lo sport che praticano e che rappresenta la vita di Arie Selinger: la pallavolo. All’inizio, dopo aver cercato notizie sulla vita di Selinger, abbiamo lavorato per creare una intervista “impossibile”, poi abbiamo scritto una poesia ispirata alla storia del campione e attualizzando i temi della Shoah e infine abbiamo realizzato un video, che speriamo vedrete più avanti. Dopo questa breve introduzione vi lasciamo alla nostra coinvolgente intervista.

D: “Buongiorno! Buongiorno a tutti, e buongiorno anche a lei signor Arie Selinger, che onore averla qui con noi!”
R: “Buongiorno signorine! Sono molto felice di conoscervi, vi devo dire che il vostro giornalino scolastico mi interessa molto, siete davvero molto bravi!”
D: “La ringraziamo per la sua disponibilità qui oggi.”
R: “Di nulla, anzi ringrazio voi per questa occasione!”
D: “Allora iniziamo subito!”
D: Il suo nome, per lei, racconta o significa qualcosa di importante?
R:Il mio nome in ebraico significa “leone”, per me rappresenta la forza e il coraggio che ho avuto quando ero bambino. Ogni tanto penso a come mi sono sentito in quei tre anni nel campo di sterminio con tante persone e bambini che morivano. Bergen-Belsen mi ha insegnato a essere un leone anche nel campo da pallavolo, durante una partita, nel bel mezzo di una competizione importante…ma soprattutto nella vita. Sono sicuro al cento per cento, che se non avessi avuto questa terribile esperienza, non sarei mai diventato l’uomo che sono oggi. Non avrei le stesse abitudini, lo stesso metodo di affrontare i problemi: per esempio, il significato della parola paura per me è cambiato alla luce di quello che ho vissuto.
D:Come la fa sentire la pallavolo?
R: Oggi ormai sono un po’ anziano, ma da giovane, ovunque io sia andato, mi sono sempre sentito straniero. I nazisti mi hanno fatto sentire straniero nella mia città, mi sono sentito un estraneo quando sono arrivato in Israele e, soprattutto, quando, per lavoro, mi sono trasferito in America e in Olanda. Ormai, c’è solo un luogo che oggi mi fa sentire veramente a casa e quel luogo è un campo da volley. E’ il posto in cui mi sento libero e non contraddistinto da una stella o dalla lingua che parlo.
D: Come ha applicato le regole che ha imparato a Bergen-Belsen alla pallavolo?
R: Ci sono due regole che ritengo importanti da rispettare, soprattutto quando si è in tanti nello stesso posto o in situazioni di pericolo, come in questo periodo. La prima è fare gioco di squadra perché è molto improbabile arrivare lontano senza l’aiuto di nessuno, magari quello che non sa fare una persona lo sa fare un altro, o viceversa. La seconda è non pensare solo con le gambe, ma anche con la testa, perché per esempio nel mezzo di uno scambio di palla non hai tanto tempo per decidere, quindi devi avere il cervello allenato e non solo il corpo come molti possono pensare. Anche oggi ognuno è chiamato a pensare prima di agire, per il benessere di se stessi e degli altri.

D:Una volta uscito dal campo, la pallavolo l’ha aiutato a superare qualche momento di difficoltà?
R: Per tutta la mia vita ho definito la pallavolo come una missione e ho sempre combattuto per lasciare il segno in questo sport. A volte quando mi tornavano in mente alcuni momenti della mia infanzia, non tanto felici, mi andavo a sfogare in palestra.
D: Noi sappiamo che lei sta allenando una squadra, è soddisfatto del lavoro che sta facendo con loro?
R: In questo momento sono molto soddisfatto del lavoro che sto facendo con la mia squadra, sono delle persone fantastiche che si impegnano con dedizione e danno il meglio di loro per arrivare allo scopo di essere delle campionesse. Mi ricordo quando ho guidato la Nazionale femminile di Israele agli Europei del 1967, invece, con quella statunitense, ho vinto la medaglia di bronzo nel campionato mondiale del 1982 e quella d’argento alle Olimpiadi estive del 1984. Non mi ricordo molto del mio periodo nel campo, ma, ho appreso una cosa: non bisogna dimenticare le persone e i fatti importanti, pur essendo gravi e spiacevoli.
D: “questa era l’ultima domanda, la ringraziamo ancora per la sua presenza; ora purtroppo la dobbiamo salutare, è stato un piacere fare due chiacchiere con lei!”
R: “Anche per me è stato un piacere fare questo scambio di parole, spero di rivedervi presto.”