Intervista alla prof.ssa Maria Angela Ceruti

di Carlotta Codazzi

3/4/2023

Oggi intervisteremo la prof. Ceruti, che progetta da tanti anni le attività finanziate dal fondo europeo Erasmus +. Ha visitato tante scuole europee e ha una grande esperienza nella realizzazione di viaggi per alunni e insegnanti. La prof.ssa Ceruti insegna inglese nella nostra scuola e, vista la sua materia, ho pensato di realizzare un’intervista… in inglese. Buona lettura!

-Si definisca con 3 aggettivi/define yourself with 3 adjectives

– First of all, hello everybody! Then, this is a difficult question, but I’ll go for positive things. Using only single words, I’d probably say I’m ‘optimistic’, then maybe ‘patient’ (my students might disagree here, but imagine if I weren’t …) and as a last one I’d say ‘independent’: I think I work well with people but I really enjoy doing things by myself, like for example long journeys on trains and planes.

La prof. Ceruti ad Amsterdam, in visita alla scuola frequentata da Anne Frank

-Una cosa che la rende felice/one thing that makes you happy

– Little things make me happy, like playing with my cat, reading a book or sitting quietly in a natural environment. But one thing that really makes me happy is reaching a destination, be it a real journey or the end of a fulfilling project.

-Cosa pensava di fare quando era piccola/what did you think you were going to do when you were a child

– When I was at school I wanted to do something scientific, like being an engineer, or something to do with the language, like being a journalist. I’ve ended up being a language teacher, and that’s OK.

-Perché ha scelto di partecipare al progetto Erasmus/why you chose to participate in the Erasmus project

– Because I love languages and I love teaching, and because I think that such experiences can really help students, even very young ones, become more independent, open their mind, grow up and be better citizens in future. They say Erasmus opens your mind and changes your life, and I think it’s true.

In Bulgaria, a Sofia, durante uno scambio del progetto “Journeys for peace”

-Ha mai partecipato al progetto Erasmus da studentessa/have you ever participated in the Erasmus project as a student

– Yes, I have, but I was already a ‘mature’ student. In fact when I was at University in the 1980s such programmes didn’t exist, but then I had the opportunity to spend an Erasmus period in Leiden, the Netherlands, when I was studying for my doctoral research at the University of Pavia in 2010. A wonderful experience.

Quali differenze ha trovato nelle varie scuole che ha visitato durante i suoi viaggi e quale modello scolastico la convince di più/which differences have you found in the various schools you have seen during your travels and which school model convinces you the most

– It would take too many pages to answer this question. The first and most important thing is that you meet people first of all. And some of them are good friends now. As for school systems, I’ve found lots of differences in timetabling, curricula, relationships with students, teaching approaches, building structures, etc. and each different school system has its own very positive and desirable aspects. Unfortunately these aspects can’t simply be transferred to our context, and that’s a pity. I love schools where there is a lot of space, like in many Northern countries, or where students can do a lot of practical activities, have access to technology, experience gender-equality in their project activities or work comfortably in mixed or open groups. But there is something good in our system, too. For example, all the foreign teachers who have visited us over the years have always appreciated the work we try to do to integrate students with special needs or students with different cultural backgrounds. This is not always taken for granted in other countries and it’s nice to know that you can contribute to raising awareness about inclusion. That’s a little step to make the world a better place.

In visita al campo di concentramento di Terezin, presso Praga

-Quanti viaggi ha fatto/How many times have you travelled 

– I honestly don’t remember. At the time of my first Erasmus trip in Galicia (Spain) in 1997, this European programme wasn’t even called Erasmus. It was called Socrates, then Comenius, after that’s LLP and finally Erasmus+. Since then I’ve visited Finland, Austria, Spain, the UK, Turkey, Bulgaria, Norway, Germany, Latvia, Slovenia, the Czech Republic, the Netherlands. I think more than forty trips in total, some with students, some with colleagues and some by myself. All of them beautiful and meaningful.

-Qual’e quello che ricorda con più piacere/Which one do you remember with more pleasure

– Again, this is a difficult question to answer. I remember the first trip to Finland in winter in 2007, it was such a different world. Or taking part in the Nobel Peace prize torch march in Oslo in 2019, that was very emotional. Or flying in a hot-air balloon in Cappadocia, in Turkey in 2015, simply breath-taking. But all trips had something important to take home and share.

-Il piatto inglese che le piace di più/ which is the british dish you like the most

– I’m a big fan of British cuisine, to be honest, but cream tea with scones and jam is really worth a try!

-Frase inglese preferita/favorite English phrase

– There are actually two catch phrases which I like a lot, and they’re not typically British English. One is ‘thanks a million’ and I first heard it in Ireland. The other one is ‘no worries’ which – I think – is more typically Australian. Then there’s the lovely -eh ending, which Canadian speakers add to their sentences, like in ‘That’s good-eh’! So, thank you-eh! Keep studying languages and … stay Erasmus!

A Saragozza, durante uno scambio Erasmus

La mia giornata a Salice Terme

di Carlotta Codazzi

20/2/2023

All’inizio dell’anno scolastico, le classi seconde sono andate al Parco Avventura di Salice Terme in provincia di Pavia per un’uscita didattica. Siamo partiti alle 8 con i prof. Massarini, Lupetto, Bassi e Rossi; con il pullman e ci abbiamo messo circa 45 minuti ad arrivare. Una volta là, ci hanno accolti e ci siamo sistemati in un’area con dei tavoli; quindi abbiamo indossato le imbracature. Ci siamo divisi in classi e ci hanno spiegato come salire e scendere dai percorsi con l’imbracatura e i moschettoni in sicurezza. I percorsi variavano a seconda della difficoltà: da carrucole a reti su cui appendersi, da scalette a fili su cui stare in equilibrio; quello più difficile consisteva nel salire su un albero alto 16 metri tramite delle rientranze e suonare una campanella. Io non ci sono riuscita perché tremavo tutta. 

Non ho provato tutti i percorsi, perché soffro di vertigini e avevo paura di cadere, però, su quelli che ho fatto, mi sono divertita molto; soprattutto sulla carrucola. In realtà, mentre tornavo a casa, pensavo che avrei potuto salire anche su quelli più alti perchè tanto eravamo in sicurezza legati con i moschettoni… 

Verso le 12:30 ci siamo tolti le imbracature e abbiamo pranzato al sacco nell’area a noi dedicata. 

Quindi, siamo andati in un campo a giocare. Lo staff aveva organizzato la corsa con i sacchi e ruba bandiera. Poi ci siamo divisi e abbiamo giocato a pallavolo, qualcuno a calcio e qualcuno si è riposato. La giornata è passata molto in fretta e alle 16 eravamo già partiti per ritornare a casa. 

Mi sono divertita molto e spero di ritornarci. Credo che l’esperienza sia stata molto utile per migliorare  il clima della classe, soprattutto perché non ci vedevamo da un’estate. Credo anche che, essendo andati con un’altra classe, sia stato utile anche per socializzare anche con altri ragazzi che non conoscevamo.

Intervistiamo la professoressa Takako Kakimoto

di Carlotta Liberali, Rachele Bertoni, Carolina Rebecchi

23/3/2023

Noi ragazze di prima A siamo sempre state affascinate da luoghi lontani rispetto l’Italia ed, in particolare, ci ha sempre colpito il Giappone. Ci siamo sempre fatte molte domande su questo lontano stato e sui suoi abitanti e quindi, quando abbiamo scoperto di avere una professoressa che viene proprio dal Giappone, non ci siamo lasciate sfuggire l’occasione. Abbiamo chiesto di rispondere alle nostre domande alla prof. Kakimoto Takako, che ha accettato molto gentilmente. Se volete dunque scoprire gusti, passioni passatempi di una persona giapponese, potete leggere la nostra intervista!

D: Per noi lei è molto disponibile e aperta a tutti, come vede dal suo punto di vista i ragazzi?

R: Alcune volte fin troppo vivaci, ma molto socievoli e affettuosi.

D: Il suo nome ha un significato particolare?

R: Per spiegarvi il significato del mio nome vi devo dire che noi giapponesi usiamo tre tipi di caratteri: hiragana, katakana e kannji. I primi due si leggono come l’italiano, ci sono 46 sillabe più 58 variabili; il kannji invece, utilizza gli ideogrammi per cui ogni lettera ha un significato. Pensate che in giapponese ci sono più di 50.000 ideogrammi! Di cui 3.000 di uso comune! Il mio nome in ideogrammi significa “bambina preziosa”.

Il nome della prof.ssa Takako Kakimoto in ideogrammi

D: Qual è la sua città di origine?

R: Vengo dal sud di Nagasaki. È la città più orientale del Giappone.

D: Perché è venuta in Italia?

R: Sono venuta in Italia per studiare canto lirico.

D: Quali sono gli aspetti della cultura italiana che non sono presenti in Giappone e viceversa?

R: La cultura italiana è più libera e flessibile di quella giapponese. I giapponesi, infatti, sono molto precisi e se non ci sono regole vanno in confusione!

D: Secondo lei quali sono le caratteristiche di un bravo insegnante?

R: Passione e serenità.

D: Cosa le piace fare nel tempo libero?

R: Cantare e suonare il pianoforte.

D: Da piccola, cosa aveva in mente da fare da grande?

R: Alle elementari volevo diventare pianista e quando avevo la vostra età insegnante di musica. Questo perché, in passato, ho conosciuto degli insegnanti di musica e ammiravo la loro organizzazione, così volevo diventare come loro.

D: Qual è il suo piatto giapponese preferito?

R: È il sushi con il pesce crudo e fresco.


Grazie professoressa, o per meglio dire: “Arigatō”!

“Per questo mi chiamo Giovanni”, un libro per riflettere

Autore: Luigi Garlando

di Rachele Bertoni e Lorenzo Groppi

13/03/2023

Si avvicina la “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle Vittime Innocenti delle mafie”, che si celebra il 21 marzo e noi vogliamo proporvi una riflessione a partire da uno dei più famosi libri italiani per ragazzi che parlano della lotta alla mafia “Per questo mi chiamo Giovanni”.

Lorenzo, un nostro compagno, dopo aver letto il libro, ha scritto le sue riflessioni, che vi proponiamo.

Giovanni, il protagonista del libro, è un ragazzino che vive a Palermo e frequenta la scuola primaria. Suo padre, per il suo decimo compleanno, gli fa un regalo speciale: una giornata da trascorrere insieme. Lo scopo del padre non è far saltare un giorno di scuola al figlio, ma raccontargli chi è Giovanni Falcone, cosa ha fatto e perché per quel figlio hanno scelto proprio quel nome. Questo libro mi è piaciuto moltissimo perché è scritto in modo semplice e riesce a spiegare bene e con esempi pratici di vita reale cosa è la mafia. Ho capito che quest’ultima sembra una cosa lontana invece è “vicina” a noi in tante forme, ne sono un esempio gli episodi di bullismo. Questo libro incoraggia a non nascondere le cose sbagliate che ogni giorno viviamo, a non tacere e a non “mettere la testa sotto la sabbia” come lo struzzo, dicendo “tanto a me non riguarda, io non c’entro”. Il padre racconta di Giovanni Falcone perché ha capito che nella scuola frequentata dal figlio ed in particolare nella sua classe c’è qualcosa che non va: c’è un ragazzino, Tonio, che è un bullo. Spera che, capendo l’impegno che Giovanni Falcone ha messo nel suo lavoro e il perché lo ha fatto, anche suo figlio Giovanni possa capire come risolvere la situazione. Una cosa che mi ha colpito molto è come i compagni di classe di Giovanni ed anche lui stesso, prima del cambiamento, decidano di tacere per paura che Tonio possa fare loro qualcosa di male: anche questa è in un certo senso una forma di mafia perché l’omertà, cioè il tacere e il non raccontare una cosa brutta per paura, è proteggere il bullo e far diventare una cosa sbagliata un’abitudine. In questo caso l’azione sbagliata non viene più percepita come tale perché a furia di farla diventa una routine, ci si abitua a farla e questo non è giusto. Giovanni capisce questo anche ascoltando il racconto diretto di quello che è successo al padre ed il perché la sua scimmietta di peluche ha le zampe bruciate. Dopo il racconto del padre, sa come reagire di fronte a Tonio, sa cosa è giusto fare: così affronta il bullo. Secondo me ha fatto la cosa giusta perché ogni giorno possiamo trovarci a vivere una situazione del genere ed è giusto ribellarsi ai soprusi.

Recensione del libro: “L’inventore di sogni”

Autore: Ian Mc Ewan

di Bertoni Rachele, Bocenti Stefano e Gentili Damiano

13/3/2023

Il libro è formato da un insieme di racconti tratti dai pensieri di un ragazzo di nome Peter Fortune che ama “sognare ad occhi aperti”. In ogni racconto, Peter vive un’avventura immaginaria, creata dalla sua mente. Vive insieme alla sua famiglia ma gli adulti lo considerano un bambino difficile perché appare silenzioso e ama starsene per conto suo a fantasticare.

Una delle avventure più belle del libro è intitolate “Il gatto”. In questa storia accade un fatto incredibile: l’anima di Peter si scambia con l’anima del suo gatto William e vive per un  giorno nella sua pelle. 

Questo libro non è del tutto nuovo per noi, infatti, essendo molto famoso, ne avevamo già letti alcuni brani. Ci siamo ritrovati in Peter perché anche a noi piace immaginare storie di fantasia: anche se alcuni adulti la giudicano un’attività infantile, è un modo per sfuggire alla noia. Proponiamo la lettura di questo libro a chi dice di non pensare mai a nulla, di non fantasticare mai. E’ infatti un libro adatto a tutti, anche agli adulti, che dovrebbero leggerlo perché imparerebbero a capire meglio il punto di vista di noi ragazzi che, a volte, ci sentiamo non capiti da loro. 

La Giornata della Memoria e dell’Impegno 2023

a cura della redazione

13/3/2023

Come già da numerosi anni, insieme all’associazione Libera, la nostra scuola celebra la Giornata della Memoria e dell’Impegno per ricordare le vittime innocenti delle mafie con la lettura dei nomi delle vittime stesse. La celebrazione si svolgerà il giorno 22/3 presso l’angolo della legalità della nostra biblioteca e presso il nostro giardino interno, dove i ragazzi di terza hanno allestito “Il giardino della Memoria e Impegno”.

A lezione di fotografia con Massimo Bersani

a cura della redazione

13/03/2023

La nostra redazione ha avuto la fortuna di incontrare il famoso fotografo Massimo Bersani che ci ha fatto lavorare e riflettere sulla fotografia. Abbiamo iniziato con il chiederci cos’è una fotografia? Uno scatto, un momento, un’immagine. Abbiamo imparato che la fotografia è una cosa che fa la luce. La LIM proietta un’immagine, il libro contiene un’immagine stampata dalla stampante ma la fotografia vera è fatta dalla luce. Poi ci siamo chiesti se la fotografia rappresenta sempre la realtà. Quando guardiamo la fotografia, siamo portati a credere che quello che vediamo sia vero. Tra un disegno è una foto, ci sembra più credibile la fotografia; ci porta a credere che quello che è raffigurato sia una cosa vera. Ma noi percepiamo il mondo in base a quello che vediamo, dal nostro punto di vista.

Quindi la fotografia non rappresenta la realtà. Ma quello che noi stiamo vivendo. Ad esempio, se sono triste vedo quello che mi circonda in un certo modo, mi comunica emozione. Comunicare un’emozione, non è per nulla facile. Nella redazione, noi usiamo le parole, questo aiuta a comprendere il significato di una immagine. La domanda è: è vero quello che vedo? La risposta: non è sempre vero. La verità è che ognuno vede la sua verità.

Quando analizziamo delle immagini, per raccontare una storia, le immagini devono avere una logica, un collegamento. Quando realizziamo un’immagine singola, dobbiamo sempre pensare che la realizziamo per chi non sa nulla di quello che succede. Dobbiamo inserire tanti elementi: dove, quando, cosa è successo. Se non ci sono didascalie, a volte, le foto non sono comprensibili.

Il fotografo Bersani ci ha dato numerosi consigli su come scattare foto, sui formati e su come esercitarci per inserire un’emozione nelle nostre immagini. Ci ha lasciato dei compiti che gli sottoporremo durante il prossimo incontro.

I narcisi di Anne

a cura della redazione

13/03/2023

Durante l’anno scolastico passato, grazie al progetto Erasmus + “Human rights, hidden figures”, un gruppo di compagni di terza si era recato ad Amsterdam, per un bellissimo viaggio di istruzione sulle tracce di Anne Frank. I ragazzi avevano riportato dalla capitale dei fiori, alcuni bulbi di narciso, fiore particolarmente simbolico in quanto, nella forma, ricorda una stella gialla simbolo degli ebrei durante le persecuzioni naziste.

Finalmente, dopo l’inverno, i narcisi sono fioriti e ci hanno regalato un punto di colore e un ricordo vivo dell’esperienza fatta che ci aiuta a tenere accesa la Memoria.

Le fotografie che hanno fatto la storia

di Alessia Cagnani e Carlotta Codazzi

27/2/2023

In questo periodo, con la nostra redazione, abbiamo iniziato a lavorare sul linguaggio fotografico, su come siano importanti le immagini nel giornalismo, per documentare i fatti ma anche per trasmettere emozioni. Abbiamo visto alcune delle fotografie più famose del passato e alcune ci hanno particolarmente colpito, eccole!

“Le Baiser De L’Hotel De Ville” (Il bacio dell’Hotel de Ville)

“Il bacio dell’Hotel de Ville” è una celebre foto scattata da Robert Doisneau. L’immagine vuole mostrare l’umanità dopo anni di guerra, in un gesto così semplice, naturale e vero. Venne scattata negli anni ‘50 a Parigi e mostra due ragazzi innamorati intenti a scambiarsi un bacio. L’artista Robert Doisneau stava realizzando un servizio fotografico per la rivista americana Life e, passeggiando per le strade parigine alla ricerca di ispirazione, vide questi due ragazzi che si scambiavano questo tenero gesto. Doisneau chiese di replicare il bacio e di posare per lui. I due ragazzi, giovani attori, innamorati, sono diventati un’icona, simbolo dell’amore spontaneo. Io sono molto appassionata di fotografia e mi piace molto questo genere di foto, spontanee e che trasmettono tranquillità, a volte addirittura commoventi. Prima non conoscevo questa foto e ora ne sono innamorata. E a te piace questa foto?  

“Flower Power”

Questa foto rappresenta un ragazzo che mette dei fiori nelle canne dei fucili dei soldati. E’ stata scattata per il quotidiano, ormai chiuso, ”The Washington star”  il 21 ottobre del 1967 durante la “Marcia sul pentagono” da un fotografo di nome Bernie Boston. E’ un’immagine molto bella d’impatto emotivo, è un modo molto originale per esprimere il desiderio anzi la necessità della pace nel mondo. Purtroppo molte persone non ne capiscono il significato ed infatti ancora oggi ci sono molte guerre nel mondo, anche non molto lontano da noi dove ogni giorno muoiono persone innocenti. La foto è stata scattata in bianco e nero, come la pace e la guerra, dove la prima è bianca piena di luce e la seconda è nera colma di buio e non ci sono vie di mezzo. Quest’azione ci ha colpito perché rappresenta  pace e fratellanza. Il ragazzo della foto  ha compiuto un bellissimo gesto, molto forte coraggioso. Se mi dovessero chiedere la mia foto  preferita,  risponderei quella del ragazzo che mette fiori nei fucili, perché sarebbe meraviglioso un mondo dove i soldati si addestrano per fare del bene e invece di uccidere lanciano fiori.

L’incredibile vittoria del Gas Sales Bluenergy

Di Carlotta Codazzi

27/2/2023

Il 26 febbraio, la squadra di Piacenza Gas Sales ha vinto la Del Monte Coppa Italia stracciando la squadra di Trento. Sia la semifinale che la finale si sono svolte al palazzo dello sport di Roma. Durante la semifinale, si sono affrontate Perugia e Piacenza: la squadra piacentina ha vinto 3-0. L’altra semifinale, ha visto fronteggiarsi Milano contro Trento e ha vinto la squadra di Trento per 3-2 . Così, Trento e Piacenza si sono aggiudicate l’accesso alla finale e si sono affrontate per aggiudicarsi la coppa del vincitore. Il Trento ha dato del filo da torcere durante il primo set, ma nonostante ciò il Piacenza ha vinto 30-2; durante il secondo set, il Piacenza non molla e vince 25-20; durante l’ultimo set la squadra risulta unita, in sintonia e, grazie a questo la vittoria va al Gas Sales durante l’ultimo set per 25 a 22 punti. Ad assistere alla finale, c’è stato anche il presidente Mattarella che ha anche consegnato la coppa al capitano della squadra, Brizard, che ha commentato che è davvero orgoglioso della sua squadra. Concludiamo facendo i complimenti a questa incredibile squadra che ha fatto esultare i tantissimi pallavolisti e le pallavoliste che si allenano nelle squadre del nostro paese!