Ho letto il libro “Se la notte ha cuore” di Matteo Corradini e mi è molto piaciuto. Mi hanno colpito i personaggi, molto originali e fantasiosi, ognuno da ricordare per una caratteristica particolare e l’intreccio della storia, che non segue l’ordine cronologico. Mi è piaciuto anche il senso di avventura che ho provato e il fatto che sia ambientato in una sola notte. Vi consiglio di leggerlo e vi svelo una curiosità: alla fine, l’autore scrive che ringrazia una bambina di nome Alice che gli ha suggerito l’espressione “Mercì cucù”… beh, quella bambina sono io!
Ed ecco a voi la recensione del libro che abbiamo letto in classe: “CRASH”, di Jerry Spinelli, storia di un bullo che impara a perdere.
Nella realtà, il protagonista non si chiama Crash, ma John. Viene chiamato Crash perché lui “crasha” la vita, la prende a calci e a testate con il suo casco da football. E’ infatti un giocatore di football americano, molto menefreghista e orgoglioso. Vicino a casa sua, un giorno, vede uno strano ragazzo, diversissimo da lui: minuto, solitario, malvestito… insomma, troppo snob per il nobile Crash. Si chiamava Penn Webb, nome scelto dal suo bisnonno che aveva partecipato alla gara sportiva chiamata Penn Relays. Webb era vegetariano e un quacchero, in poche parole non gli piace la violenza. Secondo voi un quacchero potrebbe mai essere amico del nostro Crash? Assolutamente no! Insomma, il giovane John Coogan aveva bisogno di una persona uguale a lui esteticamente e caratterialmente… così divenne amico di Mike, il suo nuovo compagno. Insieme avevano l’obiettivo di tormentare il povero Webb che, tuttavia, riesce a non dare molto peso alla cosa. Tornando a Webb, lui aveva un bisnonno. Crash invece aveva un nonno, di nome Scooter. Non si vedevano quasi mai, finché un giorno venne a vivere da lui, con grande gioia dei nipoti. Era molto bravo a cucinare e riuscì a portare un po’ di ordine nella vita a dir poco scombinata della famiglia di Crash. Ma i problemi e le difficoltà sono sempre in agguato e Crash dovrà fare i conti con il fatto che i bei vestiti e il record di touchdown non sempre possono rendere felici come l’amicizia vera e l’affetto dei propri cari. E’ possibile che succeda qualcosa che avvicini Crash e Webb? Che scoprano di avere qualcosa in comune? Lo scoprirete solo leggendo!
Se il libro fosse un colore sarebbe il marrone, perché mescola tutti i colori dell’arcobaleno, una confusione, insomma, come la vita di Crash. Se il libro fosse un animale sarebbe un ragno, perché, quando lo vedono, tutti scappano, come gli altri fanno davanti a Crash. Il personaggio che mi è piaciuto di più è stata Abby, perché è diventata vegetariana, ama gli animali ed è molto simpatica. La scena che mi è rimasta impressa è l’annuncio dell’ictus di scooter, perché anche il mio nonno ha avuto la stessa malattia. Il mio commento personale sul libro non può essere che buono: è un libro entusiasmante e divertente. Fa anche riflettere sul bullismo: nella storia chi sembra più indifeso, in realtà, è molto più forte dei bulli. Lo consiglio assolutamente a tutti, dai più grandi ai più piccoli!
Ho deciso di fare un’intervista ad una delle professoresse della nostra scuola che, dal mio punto di vista, ha lasciato più il segno nel mio percorso di studi e personale. Ho avuto lei come prof. sin dalla prima media e mi ha avvicinato molto alle lingue, infatti ho deciso di seguire le sue orme: il prossimo anno farò una scuola linguistica al liceo “M. Gioia” di Piacenza. Un altro motivo per cui ho fatto questa intervista è perché la prof. è stata una delle prime, nel nostro istituto, ad aderire al progetto Erasmus: ha preparato e ha partecipato infatti a innumerevoli viaggi con la scuola e non. Quindi, mi era sembrato interessante chiederle come aveva vissuto queste esperienze molto interessanti, cosa aveva provato ed approfondire alcune sue opinioni e gusti personali per conoscerla meglio.
D: Quando e perché ha scelto di partecipare al progetto Erasmus?
R: La prima volta che mi è capitato di partecipare a un progetto europeo è stato nel 1997, tramite contatti personali con una collega di Santiago de Compostela conosciuta in Inghilterra. Come spesso accade è stato un po’ per caso, la scuola di cui era preside il marito di questa mia collega aveva in atto un progetto Comenius (il programma per le scuole si chiamava così allora) e cercavano nuovi partner. Io insegnavo a Calendasco e mi è sembrata una buona idea partecipare. Abbiamo organizzato brevi scambi di lettere tra studenti e attività comuni riguardanti le dipendenze da alcol e droga. Gli alunni delle scuole medie all’epoca non potevano viaggiare ma mi sono resa conto che le attività svolte li avevano entusiasmati e soprattutto avevano apprezzato usare la lingua inglese per comunicare in modo autentico. Da quella volta ho cercato di prendere familiarità con i programmi di scambio tra alunni e insegnanti organizzati dalla Commissione Europea. Mi è sembrata un’opportunità da non perdere, da offrire agli studenti che incontro nel mio cammino, per aiutarli a migliorare sia nella comunicazione in lingua straniera, sia in quanto cittadini di una comunità multilingue e aperta a tante culture.
Oslo, 2017
D: Quali differenze ha trovato nelle varie scuole che ha conosciuto durante i suoi viaggi e quale modello scolastico la convince di più?
R: Ci sono tantissime differenze, ad esempio di distribuzione dell’orario durante la settimana e durante l’anno scolastico. Ci sono differenze di approccio alle discipline e di modalità di valutazione. E’ veramente difficile dire quante e quali siano. Ho invidiato moltissimo gli spazi e le risorse delle scuole del nord Europa, e la flessibilità di alcune scuole spagnole e inglesi riguardo all’orario e alla possibilità di creare gruppi di studenti tra classi diverse. In generale non si può non restare colpiti dall’organizzazione delle scuole finlandesi, i cui studenti risultano sempre tra i più preparati nelle indagini internazionali. Non credo però che il loro modello possa essere esportato così com’è nel nostro contesto, anche se potremmo adattare alcune buone pratiche (ad esempio lasciare spazi di decompressione agli studenti tra una lezione e l’altra e far trovare ambienti più accoglienti agli insegnanti) per far sì che la scuola diventi un luogo in cui vivere e non solo studiare e lavorare. Ci tengo però a dire che tutti gli insegnanti stranieri che hanno visitato la nostra scuola (finlandesi, spagnoli, norvegesi, turchi, lettoni, inglesi, bulgari, tedeschi, greci, sloveni, … spero di non aver dimenticato nessuno …) hanno trovato e portato con loro qualcosa di positivo anche dal nostro sistema. Spesso non ce ne accorgiamo, ed è un peccato.
Sofia, 2018
D: Ha mai partecipato ad un progetto Erasmus come studente?
R: Come indicato nel sito della Commissione Europea, ERASMUS è l’acronimo di European Region Action Scheme for the Mobility of University Students, sviluppato 31 anni fa a seguito dell’intuizione di Sofia Corradi, una pedagogista italiana, ma è bello che richiami il nome di Erasmo da Rotterdam, un grande umanista ed europeo del passato. Oggi sappiamo che il programma Erasmus+ non è più solo dedicato agli studenti universitari, ma è rivolto a chiunque in Europa sia ‘in formazione’ e comprende quindi anche i vecchi programmi Socrates/Comenius (per le scuole), Leonardo (per gli studenti degli istituti professionale e i giovani lavoratori) e altri più specifici. Quando ho frequentato l’università, negli anni ‘80, questi programmi non esistevano ancora, però ho avuto l’opportunità di usufruire di una borsa di studio Erasmus per studenti universitari nel 2010. Sono infatti stata distaccata dall’insegnamento dal 2008 al 2011 per un periodo di ricerca presso l’università di Pavia. Nel 2010 ho trascorso 8 mesi presso l’Università di Leiden nei Paesi Bassi. Certamente ero molto più ‘anziana’ degli altri studenti ma l’esperienza è stata indimenticabile e la consiglio vivamente a tutti!
D: Quanti viaggi ha fatto?
R: Non ricordo con precisione, sicuramente almeno una trentina. E spero di farne ancora qualcuno!
D: Quale viaggio ricorda con maggiore piacere?
R: Ci sono tre viaggi che ricordo con particolare piacere. Il viaggio in Finlandia nel 2008 durante il progetto Comenius INGAGE, perché il rapporto tra gli insegnanti partecipanti era già consolidato e si è trasformato in una bella amicizia che dura tuttora e poi perché ho potuto sperimentare attività per noi impensabili, quali camminare sul mare gelato o fare un picnic attorno al fuoco nel bosco tra la neve e sotto le stelle. Poi, per gli argomenti trattati e la sensibilità dimostrata da alunni e insegnanti ho particolarmente apprezzato il viaggio a Terezín con Matteo Corradini nel 2019 e il viaggio in Norvegia per il progetto Journeys for Peace, sempre nel 2019. Ho potuto visitare il Nobel Peace Prize Centre a Oslo e l’isola di Utøya. Esperienze molto toccanti e significative.
D:Dove le piacerebbe vivere?
R: Mi piacerebbe vivere in un posto che ha marginalmente a che fare con i miei viaggi Erasmus. Si tratta di La Croix Valmer, nelle vicinanze di Toulon, in Francia. Una carissima amica francese (conosciuta proprio durante un viaggio Erasmus in Finlandia) abita là, vicinissimo al mare. Ci sono stata alcune volte e devo dire che per dimensioni e clima rappresenta la mia idea di posto perfetto per vivere!
Terezin, 2019
D: Qual è la sua lingua preferita?
R: Non so dirlo. Ovviamente l’inglese è la lingua straniera che conosco meglio e che quindi mi permette di comunicare quasi ovunque. Conoscerla mi dà sicurezza e mi piace usarla. I libri che leggo, sia per lavoro che per diletto, sono quasi tutti in inglese e cerco sempre di guardare i film in lingua originale. Mi piace molto anche il francese ma non lo parlo spesso. Ho avuto anche l’occasione di imparare qualche frase in finlandese e in giapponese, e devo dire che mi piacciono moltissimo entrambe. Magari quando andrò in pensione mi dedicherò al loro studio in modo più approfondito!
D: Che musica ascolta / genere musicale?
R: Purtroppo non ne ascolto tanta ma mi piace il progressive rock.
D: Ha qualche animale preferito?
R: Amo tutti gli animali e da qualche anno sono diventata vegetariana per non contribuire all’orrore degli allevamenti intensivi. Non uccido nemmeno le zanzare o gli scarafaggi (li ‘accompagno’ alla porta). Ho un gatto monello, ex gatto randagio. Se avessi una casa con giardino probabilmente terrei anche un cane.
D: Ha mai praticato uno sport?
R: Sì, ho praticato il pattinaggio artistico a rotelle a livello agonistico e per un po’ di tempo sono stata anche istruttrice di questo sport. Poi ho praticato la ginnastica artistica alle scuole medie e la pallavolo al liceo e in seguito il judo e il nuoto, a livello molto amatoriale.
D: Un mondo senza inglese, come sarebbe?
R: Come sarebbe? Non saprei dirlo. Ovviamente non ci sarebbero capolavori letterari patrimonio dell’umanità, ma forse anche testi musicali emozionanti. Io però credo soprattutto nella funzione dell’inglese come lingua di comunicazione, e cerco di sensibilizzare gli studenti verso questo aspetto di ‘Lingua Franca’ che apre molte porte ma che si trasforma grazie ai contatti con le altre lingue e culture che incontra. Del resto tutte le lingue sono vive, cambiano e crescono nel tempo e si influenzano l’una con l’altra. Se non ci fosse l’inglese ci sarebbe sicuramente un’altra lingua per aiutarci a comunicare con tutti i nostri simili!
Il libro “L’inventore di sogni” è composto da tanti racconti, ognuno racchiude i sogni ad occhi aperti di Peter Fortune, un ragazzo che ama fantasticare e perdersi nella sua fantasia. Il racconto che mi ha più colpito si intitola “Il gatto”.
Inizia tutto un martedì quando Peter Fortune non voleva alzarsi dal letto ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto, visto che doveva andare a scuola. In casa Fortune durante la colazione regnava il disordine ma c’era una regola che si doveva rispettare: prima di uscir di casa la tavola doveva essere in ordine e pulita. Un solo membro della famiglia, nonostante avesse diciassette anni, non partecipava alla confusione: era Gatto William, che stava sdraiato sulla mensola sopra il calorifero. Che invidia provava Peter per la vita dei gatti! Un giorno, Peter si sdraiò sul tappeto per accarezzare William quando sentì qualcosa simile ad un osso che spuntava fuori dalla pelle; tirò per farlo uscire ma scoprì che, sotto al pelo, si nascondeva una cerniera che si aprì! Un raggio di luce uscì da Gatto William: come per magia lo spirito del gatto entrò nel corpo di Peter e quello di Peter entrò nel corpo di William. Peter, quindi, diventò Gatto William: era un’occasione per riposarsi, dormire tutto il giorno e vivere bellissime avventure. William era nel corpo di Peter e doveva andare a scuola come tutti i ragazzi. Quando, un giorno, gli spiriti ritornarono nei propri corpi e il sogno ad occhi aperti di Peter finì, sentì dall’altra stanza Kate piangere…
Questo racconto mi è piaciuto molto perché mi ha trasmesso molte emozioni: incredulità, all’inizio, tristezza nel finale e divertimento quando Peter vive le avventure di Gatto William. Secondo me questo racconto è molto originale perché l’autore descrive così bene il sogno ad occhi aperti che sembra proprio raccontare la realtà. E poi, in fondo, chi non vorrebbe vivere qualche ora da gatto?
Uno sport da praticare da soli o in squadra, dietro ad una rete con una pallina da colpire, dove la strategia serve per vincere: oggi intervistiamo Andrea Rebecchi, il presidente del Tennis Club “F. Campagnoli” di Castel San Giovanni.
D: quando e` nato il circolo?
R: nel 1962, su un’area messa a disposizione dal comune all’interno dell’impianto sportivo “Pinetto Soressi”, viene fondato il Tennis Club “Castel San Giovanni” grazie all’iniziativa di un gruppo di cittadini che riescono a fondare il Club ottenendo una convenzione di 19 anni con il comune e tassandosi di 10.000 lire a testa. Viene così costituito il primo Consiglio Direttivo, grazie alla convenzione stipulata con il comune e viene costruito il primo campo da tennis in terra rossa, il campo numero 1 .
Il Tennis Club “F. Campagnoli”
D: questo circolo ha mai partecipato a gare importanti?
R: il circolo partecipa a campionati a squadre regionali e iscrive almeno 6 squadre all’anno. Grazie all’organizzazione del nostro maestro Beltrami siamo riusciti nell’impresa storica di essere promossi in serie C nazionale; come vedi il nostro circolo è trasversale e mette in primo piano il divertimento e la socialità, il gruppo di soci è eterogeneo e ci permette di partecipare a tante gare di carattere regionale .
D: si organizzano dei tornei?
R: il circolo organizza annualmente gare di livello nazionale; storicamente si sono organizzati tornei open femminili e maschili dove hanno partecipato atleti tra i primi 500 al mondo. Il circolo ha ospitato negli ultimi anni tante edizioni dei campionati provinciali con la partecipazione di numerosi tennisti.
D: c’è una scuola tennis? Chi sono gli istruttori?
R: sì, c’è una scuola tennis dal 2007, gli istruttori sono due maestri nazionali della federazione italiana tennis. Alla scuola partecipano circa sessanta ragazzi di tutte le età; oltre a lezioni di tecnica e gioco vengono fatte ore di preparazione atletica.
D: da che età si può iniziare a giocare?
R: lo sport del tennis può essere giocato a qualsiasi età; all’inizio è più un gioco, poi piano piano si cresce e si diventa più esperti.
D: quanti campi ci sono?
R: ci sono 5 campi, tre in terra battuta e due in sintetico coperti; durante il periodo invernale si utilizza una copertura e si copre un campo in terra.
D: quando è nata la tua passione per questo sport?
R: sono sempre stato appassionato ma la vera passione è nata nel 2005 quando ho deciso di abbandonare l’attività agonistica di pallacanestro per approcciarmi in modo più completo al tennis e devo dire che da allora la passione è sempre più aumentata.
D: cosa ti piace di più di questo sport?
R: il bello del tennis, a differenza di altri sport che ho praticato, è l’individualità. A differenza di altri sport di squadra dove si tende a distribuire le responsabilità a tutti i giocatori, nel tennis non si hanno alibi, sei tu contro il tuo avversario e non ci sono scuse .
D: ho sentito che state costruendo dei campi da paddle ci puoi spiegare qualcosa di più?
R: Sì, da qualche anno in Italia e già da molto tempo in Europa e nel resto del mondo, è nato questo sport che possiamo definire un “mini tennis”. La diversità rispetto al tennis è che l’approccio è più semplice e quindi alla portata di tutti; inoltre nel paddle si può usufruire anche del rimbalzo sulle pareti laterali e in questo modo la velocità di gioco aumenta con un garantito divertimento.
Ringrazio mia figlia Angela e il giornale della scuola per avermi dato l’opportunità di far conoscere una realtà sportiva castellana di rilievo e spero che chi leggerà questo articolo si incuriosisca e venga a provare il fantastico gioco del tennis!
“#Disobbediente” è l’autobiografia di Andrea Franzoso che, dopo essere stato capitano dei carabinieri e dopo aver passato quattro anni da gesuita, diventa funzionario del reparto Internal Audit di Ferrovie Nord Milano. Poco dopo, scopre che uno dei suoi superiori, il presidente Achille, rubava da anni: utilizzava i soldi dell’azienda per spese personali: vacanze, abiti firmati e persino per pagare le multe del figlio! Il furto arriva ad un valore di oltre 180 mila euro. Andrea non esita a denunciare queste “spese pazze”, pur sapendo delle possibili conseguenze che ci sarebbero state. Infatti, come scrive nel libro:《Ero consapevole dei rischi che correvo: qualcuno avrebbe potuto vendicarsi togliendomi il lavoro. Ma c’era in gioco qualcosa di più grande: la mia dignità. Ciò che sono. Ciò che voglio essere.》. È un libro molto interessante, che insegna a non avere paura di fare quel che è giusto. Ciò che mi ha lasciato a bocca aperta è che tutti coloro che sapevano delle spese di Achille non avessero fatto niente per tutti quegli anni e che quando Andrea Franzoso torna al suo lavoro, una volta che il presidente è stato smascherato, viene accolto dai suoi colleghi come se fosse un eroe: essere onesti è una vera rivoluzione!
Oggi vogliamo presentarvi un altro Prof. della nostra scuola, nonché sportivo, Paolo Beghi.
D: Come e quando ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo dello sport?
R: Ho cominciato all’età di 8 anni, quando ho visto una partita della nazionale italiana, con in porta Walter Zenga; da quel momento è nato in me l’amore per il ruolo da portiere, che ho ricoperto fino ai 28 anni da professionista e semi-professionista. Ho poi continuato a giocare a calcio fino ai 35 anni, ma non ho mai smesso di praticare sport e di cercare di trasmettere questa mia grande passione anche ai ragazzi più giovani… anche a 39 anni si può imparare ancora molto e cerco sempre di evolvermi e migliorarmi.
D: Quali sono stati il momento piú bello e quello piú brutto della sua carriera?
R: Il momento più bello è sicuramente legato al passaggio dal calcio dilettantistico a quello professionistico: avevo 17 anni e mi sono trovato a vivere un’esperienza indimenticabile, anche perché mi ha permesso di incontrare molti giocatori di serie A e di misurarmi con i migliori. Quello più brutto, invece, si è verificato quando avevo 24 anni: ho subito un grave infortunio, con la lesione dei legamenti della spalla sinistra; in quel momento ero quasi sicuro che non sarei più tornato a giocare, ma per fortuna accadde il contrario e ho vinto ancora molti campionati! Nel frattempo non ho mai lasciato l’ambiente del fitness, che a oggi risulta essere il mio lavoro principale. Ho la fortuna di collaborare con marchi importanti come Technogym e Nike, che ogni mese mi danno la possibilità di partecipare a corsi di formazione e conoscere persone importanti nell’ambito del fitness.
D: Nel suo tempo libero, al di fuori del mondo sportivo, coltiva altre passioni?
R: Sì, ad esempio da pochi anni ho iniziato ad essere appassionato di arte contemporanea, mentre il mio hobby preferito è la cucina.
D: Da quanto tempo insegna?
R: Svolgo questa professione ormai da diversi anni. Ho iniziato alle elementari e poi sono passato alla scuola secondaria.
D: Ritiene che lo sport nell’ambiente scolastico abbia sufficiente spazio oppure no?
R: Lo sport dovrebbe essere potenziato maggiormente; soprattutto in questa situazione di Covid mi pare che sia stato molto penalizzato, quando invece l’esercizio fisico è un vero farmaco salvavita e ha innumerevoli benefici sul nostro organismo e sul nostro umore. Inoltre, oggi che siamo nell’era del digitale, aiuta a sviluppare la manualità e la coordinazione, sempre più deficitarie nei ragazzi.
D: Lei e altri professori avete organizzato l’attività sportiva pomeridiana con l’intento di distrarre i ragazzi dal mondo tecnologico?
R: Sì, per fortuna il prof. Manfredi ha organizzato diverse attività pomeridiane, dando la possibilità a tutti di muoversi e far passare la noia che c’è nei pomeriggi chiusi in casa. Io collaboro sempre volentieri, è il mio mondo!
D: Ha trovato un modo originale per sostenere lo sport in questo periodo sia all’interno che al di fuori della scuola?
R: Nell’ambiente scolastico sono state organizzate le camminate sostitutive dell’ora di motoria; invece al di fuori lavoro come personal trainer su skype e zoom, con live personalizzate o di gruppo.
D: All’interno della sua famiglia c’è qualcun altro che ha il suo stesso interesse verso lo sport?
R: Sì, ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia di sportivi: mio padre è stato professore di educazione fisica, mentre mio fratello Gianluca è un fortissimo tennista, conosciuto a livello internazionale, essendo il 1700esimo del mondo (classifica ATP).
Il percorso di Educazione Civica di questo secondo quadrimestre ci ha portato a riflettere su cosa ci rende diversi e cosa, invece, abbiamo in comune con gli altri. Abbiamo provato a individuare delle similitudini significative per approfondire questo tema. Ogni alunno della classe ha scritto quello che aveva ideato usando il linguaggio poetico e lo ha condiviso con gli altri. Tutti i testi sono stati cuciti e questo è il risultato:
My name is Altea Hasa and I arrived in Italy a few months ago. I wanted to tell you about a “trip” when me and my class went to a church near our school: church San Giovanni Battista. I never went inside of it so i was a bit excited.
Church of San Giovanni Battista
On tue 8 of december 2020 we went there with my Music teacher, Guerra. Two of our classmates explained us things about the church. It was built in the medieval age. The construction is a gothic style: we can understand it from the tall spires, the pointed arched windows, the bell tower, the rosettes and many decorations that are inside. It was gorgeous and magnificent. Inside the church there was a musical instrument for which is why we went to visit it: the organ. This instrument is in perticuliar is capable of playing many notes and sounds, which can be set through the register, a truly impressive thing taking into account that it was a medieval invention. It was built by the Serassi family for our church, the church of San Giovanni Battista. It consists of three keyboards, two for the hands and one for the feet. The operation of this instrument takes place through its pipes through which air passes , thus producing the desired sound. It is an incredible thing for me, because it only takes a couple of seconds to change the sound and the timbre of the organ. I was happy with this visit, I hope it will be the first in this beautiful new country.
“Ribelle, the Brave” è un film del 2012, prodotto dalla Pixar Animation Studios e vincitore nel 2013 del premio Oscar come migliore film di animazione.
Siamo nel Medio Evo e Merida, la protagonista, è una principessa scozzese. Quando compie 6 anni, il padre le regala un arco, con cui diventerà bravissima a scoccare frecce. La ragazzina cresce, sempre con questa grande passione per l’arco e, giunta all’ età di 16 anni, secondo la tradizione, si deve sposare. Lei, però, è una giovane donna forte e indipendente e non ne vuole sapere; così, dopo essersi vestita in modo elegante e a parer suo ridicolo, si siede sul trono per accogliere i suoi pretendenti che si cimentano con una sfida di tiro con l’arco. Alla fine, Merida è scioccata: tutti i pretendenti sanno tirare con l’arco peggio di lei! Così, non ascoltando il volere della madre, Elinor, prende l’arco e centra tutti i bersagli, dimostrando il suo valore. Nel litigio tra lei e la madre che segue, Merida strappa il tessuto fatto dalla madre che rappresenta la famiglia, ed Elinor, in tutta risposta, getta l’arco della figlia nel fuoco. Ferita nel profondo, Merida prende il suo cavallo e scappa nella foresta, dove incontra una strega che le prepara una magia con cui si può vendicare della madre e la racchiude in un dolcetto. Merida lo fa mangiare alla madre ed Elinor, poco dopo, si trasforma in un orso. Da qui in avanti il film si trasforma in una storia mozzafiato contro il tempo per salvare la madre, braccata dai cacciatori, e per non farla rimanere un orso per sempre. Merida è un esempio per tutte le donne: lei è forte e indipendente, non ha bisogno di un uomo al suo fianco, ama il suo popolo e la sua famiglia, ci ha dato dimostrazione della sua determinazione e della sua forza quando ha scoccato le frecce per ribellarsi al volere della madre per affermare la propria libertà. La storia di “Ribelle”, inoltre, mi ricorda tanto quella degli adolescenti, così ribelli entrambi e così chiusi in loro stessi. Lei però, al contrario, dimostra e fa vedere a testa alta cosa prova, non si vergogna affatto di quello che è. Con questo chiudo la (a parer mio) meravigliosa storia di Merida.