La vera storia del “Ritratto di signora” di Gustav Klimt

Un testo ispirato al celebre quadro

di Emma Piva

10/3/2020

Di generazione in generazione

In quel ritratto la nonna Grazia era venuta particolarmente bene, secondo il mio parere. Non l’avevo mai vista con addosso dei vestiti tanto eleganti, neanche nelle vecchie foto di famiglia e la mamma mi aveva anche raccontato che solitamente metteva vestiti umili e poco costosi. Ma, probabilmente, in quell’occasione, aveva deciso di fare uno strappo alla regola. Indossava una sfarzosa camicia che pare una nuvola arricchita da piccole decorazioni con semplici forme geometriche sparse qua e là, rosse, verdi, gialle. Le maniche a sbuffo sembrano gonfiarsi attorno alle gracili braccia e terminano con un colletto semi aperto che dà spazio al suo lunghissimo collo. La forma del suo viso da giovane non era paffuta anzi, era leggermente allungata e ciò la rendeva più slanciata. I suoi capelli erano foltissimi, scuri, in alcuni tratti di un bel nero lucente.

La mamma mi ha raccontato che in quell’occasione, però, aveva deciso di raccogliere la liscia e di solito spettinata chioma in una specie di acconciatura simile a uno chignon che probabilmente solo lei sapeva come fare.  Il viso della nonna era molto fine ed elegante. La bocca era piccola e le labbra sottilissime; credo che quel giorno avesse proprio deciso di uscire dai suoi schemi e, anche se non era da lei, di mettersi un po’ di rossetto, nonostante lo odiasse tanto. Il naso era anche lui piccolo e molto fine, un po’ allungato verso il basso e leggermente aquilino. Gli occhi erano di un verde smeraldo che alla luce diventava dello stesso colore del mare e brillavano come goccioline al sole. La pelle è sempre stata chiara, anche se le sue guance erano arrossate, probabilmente per l’imbarazzo. Il neo sotto l’occhio sinistro fu il dettaglio che riconobbi per primo. Per me la rendeva unica e mi permetteva di distinguerla dalle altre signore quando, da piccola, mi capitava di andare in giro con lei e di perdermi tra la folla. Era come il suo personale marchio di riconoscimento. Nel quadro la nonna aveva uno sguardo sereno e rilassato ma allo stesso tempo gli occhi sono attenti come se stesse controllando la situazione. Se continuo a fissarlo per molto tempo, riesco a intravedere un piccolo ghigno di soddisfazione sul suo volto. Non era abituata ad essere al centro dell’attenzione e probabilmente stava cercando di apparire il più naturale possibile. 

La mamma mi aveva raccontato più volte il perché dell’esistenza di quel dipinto. Un giorno, la nonna stava visitando una mostra d’arte, visto che era solita a frequentarne e tra i visitatori c’era questo pittore di nome Gustav Klimt che la notò subito. Le disse che stava cercando un soggetto da ritrarre e che stava pensando ad una donna ma ancora non aveva trovato la persona giusta. Così l’uomo decise di dipingere proprio lei perché sosteneva che era molto raro a quei tempi trovare una tale bellezza e una tale semplicità messe insieme. Penso che non se lo aspettasse proprio, solitamente erano le figlie dei grandi signori a cui accadevano cose del genere e invece stavolta era toccato a lei. Ricordo benissimo che tipo di persona era la nonna: vivace, sempre in movimento, aveva tantissima voglia di fare e, nonostante la vecchiaia cercasse di impedirglielo, non le piaceva stare con le mani in mano. Passava ore e ore a cucire e ammetto che era anche brava anche se era naturale, dopo tutti gli anni di lavoro passati nel suo studio di sartoria. Da qualche parte devo ancora avere il cappello di lana che mi aveva appositamente fatto lei con l’uncinetto. Sapeva viziarmi quando poteva ma in modo giusto, senza esagerare e nei giorni in cui mamma e papà erano costretti ad andare fuori città o per lavoro o per altri impegni, mi accudiva con affetto e sapeva darmi tutto l’amore di cui avevo bisogno. Già nei miei primi anni di infanzia, la nonna aveva dimostrato un forte interesse verso la mia istruzione. Tutte le volte che andavo a trovarla si impegnava a leggermi una storia o a farmi fare giochi che stimolassero la mia mente. Questo perché quando lei era giovane si era fortemente appassionata alla scrittura e i suoi professori dicevano che aveva talento e avrebbe potuto fare carriera ma purtroppo ciò non accadde, a causa della grave povertà a cui era andata incontro la sua famiglia; infatti fu obbligata a trovarsi al più presto un lavoro. Nonostante questo per tutta la sua vita continuò a leggere e a scoprire cose nuove appena ne aveva tempo. Credo che stesse cercando di trasmettermi il suo stesso amore per la cultura e la bellezza, cosa di cui mi ricordo ogni volta che guardo il suo ritratto.

La scuola degli animali

Spesso gli uomini si rispecchiano negli animali…

di Adnani Marwa

10/3/2020

I ragazzi della classe 1 A hanno provato a immaginarsi una scuola fatta da animali. Ecco cosa hanno elaborato grazie alla loro creatività:

Nella scuola-deserto 

c’e’ un bimbo serpente 

che striscia tutto il giorno 

facendo inciampare la gente.

Matteo Dacrema

Nella scuola-bosco

C’è un professore gufo

Che insegna geografia 

e dice di aver visto un ufo.

Francesco Bianchi

Nella scuola-giungla

c’è un ragazzo pipistrello

che si vanta tutto il giorno

credendosi bello.

Marwa Adnani

Nella scuola-oceano

c’e’ un ragazzo squalo

che intristisce alcuni pesci

e ad altri fa un regalo.

Andrea Paone

Nella scuola-mare

c’è un bimbo balena 

che va in palestra 

e tutti i giorni si allena.

Sofia Maiocchi

Nella scuola-foresta 

c’è una ragazza volpina

che copia sempre i compiti

ed è molto birichina.

Francesca Signorino Gelo

Nella scuola-montagna 

c’è un bimbo castoro:

per i boschi tutto il giorno 

cerca un tesoro.

Alessio Labò

Nella scuola-prateria

c’è un bambino leone 

che adora giocare a calcio 

e infatti é un campione.

Emma Tosca

La Voce dell’Olubra non si ferma…

a cura della redazione

6/3/2020

Alcuni giornalisti de “La voce dell’Olubra” hanno deciso di organizzarsi in una redazione “a distanza” vista la difficile situazione generale. Continueremo a raccontarvi cosa è successo nella nostra scuola nelle settimane scorse e come vivono i ragazzi adesso, a casa. Perché La voce dell’Olubra non si ferma.

 

Al campo scout… minuto per minuto

di Matteo Canevari

3/3/2020

Uno dei primi giorni di scuola, ci hanno consegnato un avviso con scritto che il 26 settembre, noi di prima media saremmo andati alla sede degli scout di Castel San Giovanni a fare dei giochi per quasi tutta la mattinata.

La notte prima di andare, non riuscivo a dormire dall’emozione perché sapevo che mi sarei divertito.

Il giorno dell’uscita, alla prima ora abbiamo fatto inglese con la professoressa Ceruti, poi siamo andati a piedi alla sede degli scout. Appena arrivati, hanno diviso tutte le classi in due gruppi: io ero con Alessio, il mio migliore amico. Ogni gruppo era guidato da uno studente di terza che aveva un foglio con scritte le indicazioni di dove dovevamo andare.

Ci hanno fatto fare molti giochi. Il primo è stato trovare le differenze, e una… e due… e tre…  alla fine abbiamo trovato 18 differenze su 20.

Il secondo gioco era quello di fare canestro a turno. Sebbene con molta difficoltà, perché tutti tiravano contemporaneamente, abbiamo fatto 64 canestri. Questo gioco mi è piaciuto molto perché il mio secondo sport preferito è il basket.

Il terzo gioco è stato quello di guardare degli oggetti dentro una scatola trasparente per 30 secondi per memorizzarli. Noi ne abbiamo ricordati 18 su 27; purtroppo non sono molto bravo a memorizzare!

Il quarto gioco che abbiamo fatto è stato quello del mimo: uno di noi doveva mimare un oggetto o un posto e dovevamo indovinarlo. Le cose da mimare erano difficilissime e ne abbiamo indovinata soltanto una: l’aeroporto.

Il quinto gioco era la staffetta. Dovevamo correre con un cilindro in mano e poi tornare indietro. A me hanno fatto fare tre giri perché ero il più veloce e la nostra squadra aveva due giocatori in meno. Alla fine abbiamo fatto il record di velocità ed io ero molto felice.

Dopo abbiamo fatto il gioco delle tabelline che però era impossibile: abbiamo risposto soltanto ad una domanda. Io sono bravissimo in matematica ma quelle domande erano davvero difficili.

Poi abbiamo fatto un gioco simile alla pallavolo e abbiamo fatto 65 punti. Dopo aver fatto tutti quei punti, abbiamo scoperto che vinceva chi faceva meno punti e noi, avendo fatto più punti di tutti, eravamo messi malissimo! Però io mi stavo divertendo lo stesso.

A quel punto abbiamo fatto ricreazione e abbiamo giocato a calcio nel momento di pausa. Quindi sono ricominciati i giochi di squadra e questa volta lo scopo era di riordinare delle parole. Abbiamo sbagliato praticamente tutto! Poi c’è stato un cruciverba e anche qui siamo andati malissimo. È andata meglio con la corsa nei sacchi dove abbiamo fatto il miglior tempo.

Poi abbiamo fatto un gioco dove bisognava prendere una pallina da ping pong con un cucchiaio portarla fino dentro ad una scatola, sorpassando degli ostacoli: risultato 16 palline su 20! Infine l’ultima attività è stato il gioco che mi piace di più: il gioco del calcio. Con una porta alta circa 40 cm e larga circa mezzo metro, dovevamo tirare da 6 m di distanza. Io ho fatto due goal su tre; in totale abbiamo fatto 19 goal.

Appena finito, ci siamo radunati in gruppo, tutte le classi vicine, ci sono stati detti i punteggi e sono stati nominati i vincitori: la nostra classe è arrivata ultima però abbiamo ricevuto lo stesso un sacco di caramelle e ci siamo divertiti un mondo.

L’esperienza mi è piaciuta molto e spero di rifarla al più presto. Mi è piaciuto anche come abbiamo lavorato in gruppo. Secondo me gli insegnanti ci hanno fatto fare questa uscita soprattutto per farci divertire ma anche per conoscerci meglio, mettendo alla prova le nostre abilità e le nostre capacità. Mi sono divertito a raccontarvi tutto questo, ma adesso devo andare. Ciao!!!

Recensione del libro “Solo una parola” di Matteo Corradini

di Sofia Maiocchi, Emma Tosca, Francesca Signorino Gelo

02/03/2020

Autore: Matteo Corradini

Illustratrice: Sonia Cucculelli

Editore: Rizzoli

Questo libro racconta la storia di tre ragazzini di nome Roberto, Alvise, Lucia che vivono a Venezia nel periodo che precede la Seconda Guerra Mondiale. Erano tre bambini “normali”, o almeno, così avevano sempre creduto, finché, da un giorno all’altro, alla radio si sentì una notizia contro le persone con gli occhiali, chiamate con disprezzo “occhialuti”. Roberto, alcuni suoi familiari e alcuni amici portano gli occhiali. Il bambino prima è incredulo ma poi si accorge che molti credono al pregiudizio che gli occhialuti siano diversi e pericolosi. Addirittura alcuni scienziati hanno affermato che le persone con quegli oggetti sul naso appartengano a “razze inferiori”. Come conseguenza, il negozio di ottica del padre di Alvise, l’amico di Roberto, è stato rovinato da vandali e i maestri occhialuti sono stati licenziati. Non solo, anche i bambini e le bambine occhialute sono stati espulsi dalle scuole. Allora la famiglia di Alvise decide di scappare e la stessa cosa vorrebbero fare quelle di Roberto e Lucia ma non tutti ci riescono. Roberto si nasconde con i suoi in una soffitta abbandonata… riusciranno a salvarsi?

Se il libro fosse un colore, sarebbe di una tonalità triste e spenta da un lato, dall’altro dovrebbe ricordare la rabbia, come il nero. Se fosse un oggetto, sarebbe un coltello, perché ha “tagliato” in due la società. Se fosse un animale, sarebbe una pantera che aggredisce la società. Se il libro fosse un fiore, sarebbe appassito.

Questo libro ci è piaciuto molto, ci ha fatto riflettere su come le persone possano essere crudeli verso gli altri diversi da loro e a come una parola possa fare molto male se usata nel modo sbagliato per colpire invece di comunicare. Dobbiamo capire che la cosa più importante è ragionare con la propria testa.

Abbiamo inaugurato la Stele di Tina Pesaro

Ragazzi e bambini dell’istituto insieme per ricordare Tina Pesaro

di Giovanni Ferrari, Malak Es Sabahi e Francesco Cobianchi

Il giorno 29 gennaio è stato importante per il nostro istituto: davanti alla scuola primaria, è stata inaugurata una stele intitolata a Tina Pesaro, una nostra concittadina morta in un campo di sterminio durante la Seconda Guerra Mondiale. A lei è intitolata la scuola primaria stessa.

Hanno partecipato all’evento le classi quinte della scuola primaria, le terze della scuola secondaria e il Gruppo Musicale dell’istituto. Tutti i ragazzi si sono riuniti nell’atrio della scuola primaria e sono stati accolti dalla musica del Gruppo Musicale diretto dal prof. Termine, che ha proposto alcuni canti adatti all’evento: “Auschwitz” di Francesco Guccini, “Gam Gam”, canto ebraico, “La vita è bella” di Nicola Piovani. Al momento musicale hanno partecipato anche i professori Sarro, Cruz e Max Repetti di “Arte e Musica”.

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Il gruppo musicale di istituto

Dopo aver ascoltato le canzoni del gruppo musicale, la preside Cristina Angeleri ha fatto un intervento, raccontando la storia delle Muse che erano figlie di Zeus e Mnemosine, dea della Memoria. Infatti attraverso l’arte delle Muse si può sconfiggere l’oblio e fare Memoria.

Le autorità intervenute alla manifestazione

Quindi i bambini di quinta hanno descritto i lavori che hanno fatto su Tina Pesaro e che sono stati caricati su di una piattaforma online che tutti possono consultare con lo smartphone attraverso un QR Code stampato sulla stele.

L'atrio della scuola "Tina Pesaro" affollato per l'evento
L’atrio affollato della scuola primaria

A questo punto, tutti i partecipanti si sono spostati all’esterno per l’inaugurazione vera e propria della stele, che è stata posizionata accanto all’ingresso della scuola, vicino alla pietra d’inciampo di Tina Pesaroooooooo.

La stele con Franco Pesaro, fratello di Tina e Giorgio Garolfi, nipote

 

 

Una mattina la campo scout per le classi prime

 di Sofia Maiocchi

18/02/2020

Giovedì 26 settembre, tutte le classi prime, compresa la mia che è la prima A, sono andate al campo scout di Castel San Giovanni. Lo scopo era passare una mattina insieme per migliorare la conoscenza dei compagni di prima e della nostra classe.

Appena sono entrata, la prima cosa che ho notato è stata una rete da pallavolo che era stesa davanti a noi. Andando più avanti sulla destra c’era un edificio basso e di colore rosa chiaro. Invece, sulla sinistra, c’era un parco gigantesco diviso in due parti: una con tanti alberi e l’altra con solo prato molto verde.

A quel punto il professor Manfredi ci ha detto che ogni classe doveva dividersi in due gruppi, ognuna dei quali aveva un ragazzo di terza media che lo avrebbe guidato. Così si sono formati dodici gruppi. Nel parco erano stati posizionati dei giochi: alcuni enigmistici, altri di tecnica e altri ancora di velocità.

Il gioco che mi è piaciuto di più è stato quello in cui dovevamo ricordarci tutti gli oggetti dentro una scatola dopo averli visti soltanto una volta.

Dopo aver finito i giochi, siamo andati a fare merenda. E alla fine ci sono state le premiazioni. La classe che ha vinto è stata la prima D. Ad ogni gruppo è stato dato un pacchetto di caramelle.

Questa giornata, progetta per accoglierci alle medie in un modo divertente, per me è stato molto entusiasmante per molti motivi, ma uno dei più importanti è perché siamo stati insieme.

Tutte le parole di Matteo Corradini

La classe prima A ha incontrato lo scrittore di “Solo una parola”

a cura della classe 1 A

20/02/20

La classe 1 A, il giorno 20 febbraio 2020 ha incontrato Matteo Corradini dopo aver letto e rielaborato il suo libro “Solo una parola”. I ragazzi hanno accolto l’autore indossando degli occhiali costruiti appositamente perché sono l’elemento chiave del libro che racconta la storia di ragazzi discriminati perché “occhialuti”.

Gli “occhialuti” della prima A

Di seguito vi riportiamo l’intervista fatta dai ragazzi all’autore.

D: Quando aveva la nostra età, quale era il suo profitto a scuola? Aveva un professore preferito?

R: Quando ero in prima media il mio profitto era buono. Le materie preferite erano arte e italiano. Mi piaceva in particolare l’ora di lettura in classe. La mia professoressa preferita era la prof. Baciocchi, che insegnava francese benissimo; il primo giorno di scuola ci ha conquistati con una felpa che aveva la scritta: “Questa non è una felpa”!

D: Praticava o pratica uno sport? Qual è la sua squadra e il suo sportivo preferito?

R: Da giovane giocavo a basket, seguivo il campionato statunitense NBA; il mio giocatore preferito era Kareem Abdul- Jabbar e pensate che anche lui aveva gli occhiali, o meglio, una mascherina per proteggersi gli occhi. Era così alto che avevano addirittura modificato le misure del campo e del canestro! Noi cercavamo di imitare il suo bellissimo gancio – cielo. Quindi ho seguito il calcio, il Milan perché mi piacevano Gullit, un calciatore bravissimo olandese che aveva una criniera di lunghe treccine e Van Basten. Un paio di anni fa, ho letto un brano del diario di Anne Frank allo Juventus Stadium, davanti a migliaia di tifosi. Mi piace girare con la mountain bike, sono piuttosto spericolato, quindi quando esco di casa, sono coperto da protezioni come un guerriero medievale.

D: Suona o suonava uno strumento? Quali sono la sua canzone e cantante preferiti?

R: Alla vostra età suonavo il pianoforte. Poi mi sono iscritto al conservatorio per suonare il fagotto ma dopo un anno “ho fatto fagotto” perché non era la mia strada. Ascolto tutti i generi musicali, dalla musica antica alla contemporanea, credo si debbano “assaggiare” tutti i generi musicali senza pregiudizi.

D: Quando ha cominciato a scrivere e quando si è accorto che avrebbe fatto lo scrittore?

R: Da ragazzo scrivevo brevi racconti horror, il primo è stato “Il gatto nero” ma poi ho scoperto che anche Edgar Allan Poe aveva scritto un analogo racconto più di cento anni prima… Mi piacevano racconti di mare, di pirati, leggevo “L’isola del tesoro” con i miei amici. Il mio primo libro pubblicato è stato “Alfabeto ebraico”, dell’editore Salani, (lo stesso di “Harry Potter”). Come è successo alla Rowling, anche a me sono arrivati rifiuti. L’importante è crederci e scrivere, possibilmente buone cose. Oggi mi chiedono come si fa a pubblicare un libro, magari chi lo chiede non ha ancora scritto una parola… Il libro a cui sono più affezionato è “Annalilla”.

D: Come le è venuta l’idea di raccontare in un libro la storia degli “occhialuti” sostituendoli agli ebrei?

R: Intanto perchè pochi conoscono gli ebrei, la loro storia e la loro cultura. In Italia sono tra i 30 e i 50.000. Ma soprattutto perché mi interessava far riflettere sul meccanismo che mettono in atto i razzisti di trasformare semplici parole in insulti. Se qualcuno ci insulta, possiamo pensare che sia maleducato, fare finta di niente ma se qualcuno usa una parola che ci rappresenta come insulto, la ferita è più profonda. Se “italiano” venisse usato come un insulto, questo ci ferirebbe in quanto noi siamo italiani. Così sulle stelline, i nazisti scrivevano “Jude”, cioè “Ebrei” e usavano quella parola come un insulto, affondando in profondità nell’animo delle persone. Ci sono eventi del passato che iniziano e finiscono ma certi meccanismi sono vivi ancora oggi e su questi dobbiamo riflettere.

D: Il libro ha un finale che ci ha lasciato l’amaro in bocca…

R: Il libro non dà risposte, fa provare un istante di incertezza, quella stessa che provavano le persone perseguitate. Credo che lo scrittore non debba essere per forza “amico” del lettore, non debba per forza dare sicurezze, viceversa, deve mettere nei guai il lettore, stimolare delle domande.

Grazie a Matteo Corradini, lo rivedremo presto a teatro con lo spettacolo “Favole al telefono” e, soprattutto, tutti in libreria il 25 marzo per l’uscita del nuovo libro: “Se la notte ha cuore”!

Una conquista sorprendente

La redazione ha partecipato al meeting “Giornaliamo”

3 Giugno 2019

di Irene Lombardelli e Francesca Carella

Il giorno 21 Maggio una rappresentanza della redazione si è recata a Piacenza per il meeting “Giornaliamo” che raccoglie i giornali scolastici della provincia.

Il meeting si divideva in due parti: nella prima parte i redattori potevano fare delle domande al nuovo direttore del quotidiano “La Libertà”, che ha fornito consigli utili per migliorare il proprio giornale; la seconda parte riguardava il vero e proprio concorso. Ogni redazione doveva portare un progetto che poteva affrontare uno dei due temi: il primo riguardava l’ambiente e l’altro aveva come titolo “Una conquista sorprendente”.

Noi abbiamo proposto il secondo tema, realizzando un video che riguardava la trasformazione del corridoio al piano terra della nostra scuola nel corso degli anni: una vera conquista sorprendente resa possibile grazie al lavoro di insegnanti e alunni.

Ecco qui il nostro video, buona visione!

“La Memoria, i Diritti, le Farfalle”

La mostra organizzata dai ragazzi del progetto Erasmus+ e del laboratorio di arte che racconta il viaggio a Terezín

03/06/2019

di Martina Fonso, Elisa Panelli, Elisa Rizzi e Giulia Gobbi

Dall’8 all’11 maggio, nel foyer del Teatro Verdi, si è tenuta la mostra che ha voluto raccontare l’esperienza del viaggio a Terezín di 17 alunni della nostra scuola. I ragazzi sono stati accompagnati da alcune professoresse e da Matteo Corradini, ebraista esperto del campo di concentramento di Terezín, nella Repubblica Ceca. Il posto che chiamiamo “Terezín” non nacque come paese e nemmeno come ghetto, nacque come fortezza per difendere Praga. E’ infatti circondato da possenti bastioni. Durante il periodo nazista, divenne però un ghetto e un campo di concentramento e fu destinato a imprigionare gli ebrei. Qui si svolse la vicenda dei ragazzi del giornale “Vedem” guidati da Petr Ginz che, per rimanere vivi e resistere all’orrore, scrivevano un giornale clandestino.

Il titolo è stato scelto perché la Memoria non è solo un metodo per ricordare il passato ma è una bussola che ci aiuta ad orientarci  verso il futuro e verso i Diritti che sono alla base della vita umana. Le Farfalle richiamano il libro – guida della mostra che è stato il libro di Matteo Corradini “La repubblica delle farfalle” che racconta appunto la storia dei ragazzi del giornalino “Vedem” nel campo di Terezín.

Alcuni ragazzi che preparano la mostra

La mostra era divisa in più parti, seguendo i capitoli del libro e raccoglieva le foto scattate a Terezín, frasi significative, oggetti, materiali prodotti dai ragazzi delle classi terze. La prima parte, “Lo sterminio in un guscio di noce”, includeva tutte le foto scattate a Terezín e aventi come argomento lo stermino, i sassi raccolti sui vecchi binari del campo di concentramento che portavano diretti verso Auschwitz e alcune gabbie all’interno delle quali abbiamo imprigionato degli oggetti che per noi rappresentavano la libertà.

Le gabbie

Nella seconda parte, “La notte del giornale”, abbiamo inserito le foto dei luoghi in cui a Terezín gli ebrei riuscivano a “fare resistenza”, cioè una sinagoga clandestina, un teatro improvvisato, la stanza della redazione del giornale e abbiamo appeso i giornali scritti a mano dei ragazzi di terza, ispirati a Vedem, il giornale che i ragazzi di Terezín scrivevano per resistere a quell’inferno.

“La notte del giornale”

Infine, nell’ultima parte, “Lunga vita alla Repubblica delle Farfalle”, abbiamo “liberato le farfalle”, appendendo delle foto dei nostri momenti di vita, riflessioni e video sui grandi personaggi che hanno affermato i diritti umani negli anni passati e nel presente.